TESTIMONIANZE
FRANCO
Franco è un industriale di Milano che ha condotto fino a qualche tempo
fa una vita professionalmente molto movimentata e di successo. Si
trovava a dirigere una piccola azienda che si stava ingrandendo molto
velocemente, soprattutto nei paesi arabi e in via di sviluppo. Stava
guadagnando moltissimo, aveva una felice vita sentimentale e, pur
essendo nel lavoro, si poteva godere abbastanza bene i suoi 37 anni.
Durante il suo ultimo viaggio in Australia, soffrì di una
gastroenterite seguita a un abbondante pasto di pesce, tra l’altro
ottimo, come soltanto si può trovare da quelle parti. Poi il viaggio di
ritorno e una insolita difficoltà a riadattarsi alla vita di tutti i
giorni, subito giustificata dalla differenza dl fuso orario e da quella
disavventura alimentare.
Ma la cosa non finì lì. Una estrema spossatezza si impadronì di lui e
non lo abbandonò per alcuni mesi. Inizialmente non si preoccupò, ma
presto si fece vedere dal suo medico di fiducia, che non diede molto
peso a questo sintomo attribuendolo, anche lui, al recente viaggio in
Australia e al troppo lavoro. La stanchezza però non passava e impediva
a Franco di riprendere le sue attività manageriali.
Erano sopraggiunte difficoltà nella concentrazione, una certa perdita
della memoria, difficoltà nel sonno con frequenti risvegli notturni e
poi alle volte sonnolenza durante la giornata, qualche dolore muscolare
e soprattutto una estrema affaticabilità anche dopo piccoli sforzi
fisici. Aveva anche tentato di riprendere il tennis, ma era stato un
disastro. Dopo una partita i suoi sintomi erano peggiorati moltissimo e
si era ripromesso di non provarci più. Era comparsa da qualche tempo
una febbricola sui 37.2-37.5 che lo disturbava e lo faceva sentire come
se avesse l’influenza.
Così erano passati 5-6 mesi e ancora non riusciva a riprendere a pieno
ritmo il lavoro. Le sue preoccupazioni aumentavano anche perché pensò
di aver preso una malattia grave, un tumore. Consultò un oncologo molto
famoso, il quale dopo avergli prescritto una serie di esami, escluse
categoricamente qualsiasi tipo di tumore. A questo punto decise di
prendersi un periodo di assoluto riposo per cercare di risolvere la
situazione. Ma anche il riposo non gli giovò molto e doveva passare
praticamente la sua giornata tra il divano e il letto con rare sortite
in città. Faceva fatica a rispondere al telefono e la sua fidanzata,
che fino a quel momento gli era stata molto vicina, si stancò di questa
situazione e iniziò a sospettare che le nascondesse qualcosa.
Franco cominciò a sentirsi depresso. Appena nominò la parola
depressione al suo medico di fiducia, che era stato nel frattempo di
nuovo contattato, la diagnosi fu subito evidente: si trattava di una
sindrome depressiva che era stata fino a quel momento allo stato
latente, ma che ora si stava manifestando. Franco si lasciò convincere
facilmente a seguire una terapia antidepressiva, era disposto a tutto
pur di risolvere la situazione, anche a essere etichettato come un
malato psichiatrico. Dopo tre mesi di terapia, non era assolutamente
migliorato, anzi il farmaco anti-depressivo gli aveva aggravato la
sintomatologia. Nel frattempo continuava a consultare nuovi
specialisti, si trasferi anche a Parigi per un check-up approfondito,
ma senza arrivare a una soluzione. Tutti gli esami risultavano
negativi, molti specialisti concludevano che probabilmente si trattava
di depressione. Ma Franco non si sentiva assolutamente depresso, e
imputava solo al periodo di inattività che ormai perdurava da oltre un
anno la sua lieve situazione depressiva.
Un giorno sfogliando l’ennesimo giornale si imbattè nella storia della
sindrome da stanchezza cronica e improvvisamente si accorse che tutto
combaciava. Si recò presso il Centro di riferimento Oncologico di
Aviano dove l’Unità CFS di quell’Istituto sospettò trattarsi di CFS.
Dopo alcune ulteriori indagini, in particolare virologiche e
immunologiche, la diagnosi fu confermata. Tra le varie indagini
approfondite alle quali era stato sottoposto, emerse una certa lieve
iperattività del sistema immunitario con qualche alterazione pur
aspecifica di certe sottopopolazioni linfocitarie, le cosiddette
cellule natural killer. Gli fu ben espiegata il tipo di sindrome della
quale era affetto, e le modifiche dello stile di vita che doveva
apportare. Inizio’ anche una terapia con magnesio, carnicina e vitamina
B12 ad alte dosi che dopo qualche mese gli portarono un leggero
miglioramento.
Purtroppo però i sintomi, pur lievemente migliorati, perduravano e dopo
due anni la sintomatologia è ancora presente, e Franco ha notevoli
problemi personali in quanto non ha potuto ancora riprendere il lavoro,
anzi ha dovuto cedere la usa piccola attività. Attualmente si limita a
brevi consulenze. Per fortuna molti dell’ambiente si ricordano di lui e
lo ricercano per offrirgli lavori anche molto importanti, che però non
si sente assolutamente di assumere, considerando le sue condizioni.
Soprattutto non si sente di viaggiare e lo stress di queste brevi
attività di lavoro gli è intollerabile.
Si è fatto successivamente ricoverare presso il reparto CFS di Aviano
ed è stato sottoposto a una terapie con alte dosi di immunoglobuline,
che non ha sortito buoni effetti.
Nel frattempo la sua relazione con la fidanzata si è conclusa, in
quanto l’estrema stanchezza e tutti i disturbi che lo affliggevano gli
impedivano di continuare questo rapporto. Franco ora spera che al più
presto vengano scoperti nuovi farmaci efficaci e comunque si capisca di
piu’ su questa sindrome che lo ha colpito. Gli è stato anche detto, ed
effettivamente anche lui ne è convinto, che non è escluso che vi sia
una correlazione tra la malattia e l’infezione intestinale contratta in
Australia.
LUISELLA
Luisella era una donna in carriera. Stava per scalare i ruoli più
importati della banca di Torino nella quale lavorava. Conduceva una
vita familiare tranquilla, pur non avendo figli, e aveva un ottimo
rapporto con il marito.
Un'epatite però le ha cambiato la vita. Dopo quell’episodio infettivo,
documentato da alcuni esami del fegato alterati, anche se non era stato
riscontrato il virus dell’epatite, Luisella non era più la stessa. Non
si era più ripresa e inizialmente tutto era stato imputato all’epatite.
Dopo sei mesi però i valori del fegato erano negativi come anche una
biopsia epatica e gli anticorpi contro i virus A, B, C e D.
Nonostante le terapie a base di epatoprotettori alle quali era stata
sottoposta, non aveva avuto alcun miglioramento. Inoltre da qualche
tempo erano comparsi strani sintomi quali difficoltà nella contrazione,
perdita della memoria, confusione mentale, difficoltà nel sonno, dolori
muscolari, mal di gola che le impedivano di continuare a lavorare. Si
era messa quindi a riposo già da diversi mesi ma non riusciva più a
riprendersi. La sua carriera era evidentemente in pericolo e diversi
medici da lei consultati non capirono molto della sua patologia, fino a
che non le fu diagnosticata la sindrome da stanchezza cronica.
Pochi mesi dopo aver appreso questa diagnosi e aver modificato
conseguentemente le proprie abitudini di vita, la sintomatologia andò
migliorando e, dopo due anni da quella epatite, Luisella si considerò
se non guarita, notevolmente migliorata e la sua vita riprese, sia pure
a un ritmo molto inferiore di prima. Le fu consigliato di non
sottoporsi a stress intensi, di moderare la usa attività di lavoro, e
di creare intervalli di riposo assoluto, sia fisico che psichico,
durante la giornata e anche durante il mese. Ora Luisella è ritornata
nella sua banca dove è pronta a riprendere la scalata. Anche se
certamente con meno grinta di prima, perché la salute è più importante
della carriera.
GIULIA
Giulia è una bambina di 10 anni che ha dovuto lasciare la scuola, dove
frequentava la quinta elementare, non essendo riuscita a riprendersi da
una influenza, complicata da una broncopolmonite, che l’aveva colpita
circa un anno prima.
Era stata un’influenza che aveva interessato tutta la sua famiglia:
mamma, papà e un fratellino più piccolo di lei. La famiglia vive nella
provincia di Udine e Giulia fino a quell’influenza era stata tra le
migliori della classe, sempre pronta anche a giocare e a praticare
sport. Ma dopo quella influenza non era stata più lei. Non si era più
ripresa, non voleva più giocare, non riusciva più a dormire la notte,
aveva sempre un po’ di febbre e non riusciva a studiare. Dimenticava
subito tutto quello che le veniva detto. Però gli esami ai quali era
stata sottoposta in diverse occasioni non rivelarono alcunché di
anomalo, se non un titolo elevato di anticorpi contro un virus, l'
Epstein-Barr,e questo fu interpretato come un probabile episodio di
mononucleosi alla quale era andata inavvertitamente incontro nel
recente passato. Anche un altro virus, l’HHV-6 o Herpes virus umano di
tipo 6, era presente nei linfociti della bambina.
Le fu diagnosticata una sindrome da stanchezza cronica che durò, senza
migliorare, per diversi mesi con gravi difficoltà soprattutto
scolastiche e relazionali. Le insegnanti non la capivano e pensavano
che non avesse più voglia di studiare. La mamma si era data molto da
fare per cercare di convincere gli insegnati e il preside che la
bambina era ammalata, portando anche il certificato medico che
attestava che era affetta dalla sindrome da stanchezza cronica.
Purtroppo non venne creduta, anche perché altri medici consultati
riferirono che questa malattia non esisteva. Fu vista diverse volte
dallo psicologo, ma non fu riscontrata alcuna anomalia. Le sue
difficoltà fisiche erano presenti ed erano d’altra parte anche
obiettivabili in quanto in ripetuti ricoveri le fu riscontrata una
febbricola che arrivava alle volte anche vicino ai 38 gradi.
Poi, lentamente, anche con l’ausilio dei farmaci, la sintomatologia
cominciò a migliorare e ora Giulia è sulla via della guarigione. Ha
ripreso ad andare a scuola con profitto, anche se le insegnanti pensano
che, nella migliore delle ipotesi, abbia sofferto di un esaurimento
nervoso.
MIRELLA
Mirella ha 24 anni ed è una bellissima ragazza, da tutti ammirata e invidiata.
Improvvisamente però, forse dopo un episodio influenzale o forse no,
non ricorda bene, la sua vita è cambiata radicalmente. Non riesce a
lasciare il letto, ha dolori dappertutto che la fanno soffrire. Non
riesce più a dormire la notte ed è come se fosse perennemente
influenzata. Dopo tre anni, nonostante consulti in tutte le parti del
mondo, diverse terapie intraprese, la situazione è invariata. E’ stata
vista anche da psichiatri illustri, ma se non per una lieve forma
reattiva di depressione, ben giustificabile d’altra parte con la
situazione generale così disastrosa, non le è stato riscontrato
alcunché di anomalo.
La sua vita è completamente distrutta. Ormai dorme di giorno ed è
sveglia di notte, e soltanto raramente ha qualche miglioramento che le
permette di uscire e di condurre per breve tempo una vita accettabile.
Ma il tutto si risolve in pochi giorni e poi riprecipita nella
situazione precedente. Non può neppure pensare dia vere una relazione
sentimentale, nonostante sia rimasta molto attraente. Non sa neanche
lei quale sarà il suo futuro. GIADA, IN OCCASIONE DELA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO DI INDIRIZZO AGENAS. Quanto
segue è una trascrizione del discorso, fatto a braccio da Giada Da Ros,
presidente della CFS Associazione Italiana, il 25 marzo 2014 al
Ministero della Salute, in occasione della presentazione del documento di indirizzo Agneas, che si può vedre su YouTube a questo link. Io
sono Giada Da Ros e sono la presidente della CFS Associazione Italiana
onlus di Aviano in provincia di Pordenone, che è stata la prima
associazione nazionale che abbiamo avuto in Italia per i pazienti di
questa sindrome che, spero si sia capito anche dagli interventi
precedenti, è veramente estremamente invalidante, molto di più di
quanto la gente normalmente non immagini. Proprio per questo anche,
sono, non solo felice, ma anche in un certo senso riconoscente, per la
nascita di questo documento di indirizzo che spero possa essere molto
utile.
Qui oggi, il mio intervento sarà prevalentemente di
tipo umano, per così dire, lascio poi a Roberta Ardino il compito di
parlare più da un punto di vista istituzionale e mi piacerebbe iniziare
questo mio piccolo discorso con una citazione di Laura Hillenbrand.
Laura Hillenbrand è un’autrice americana di successo - ha scritto
Seabiscuit, ha scritto Unbroken, pubblicato in Italia per Mondadori con
il titolo Sono ancora un uomo-, che soffre di CFS. Lei una volta ha
detto: “La fatica sta alla Sindrome da Fatica Cronica come un
fiammifero sta alla bomba atomica”. Chiaramente, l’immagine della bomba
atomica è un’iperbole. Poi tra l’altro, la fatica normale è ben più di
un fiammifero tante volte, perché giustamente ci si stanca se si
lavora. Se ci sia affatica, sentire fatica è una segnale che ci dice
che dobbiamo rallentare o è un segnale che qualcosa non va. La CFS
però appunto è una bomba atomica. È una bomba atomica non solo
eventualmente per l’intensità della fatica, ma proprio per il tipo di
devastazione che provoca e che comporta.
Appunto, prima di
tutto per la fatica, che infatti ci dà questo nome, perché è una fatica
veramente opprimente, annichilente, ed è stato detto qualche volta una
“fatica tossica”, in un documentario che si trova su YouTube, per
quanto in gaelico scozzese, ma con i sottotitoli in inglese, che viene
appunto chiamato “stanchezza tossica”. E comunque secondo me, anche
quando la stanchezza non è di grandissima severità, una caratteristica
è che comunque è una fatica sproporzionata al tipo di sforzo che si fa.
Uno fa uno sforzo piccolo e ha una fatica gigantesca. Ed è una fatica
che si fa fatica a recuperare, nel senso che ci vuole tantissimo tempo
per essere recuperata. Però non è solo fatica, spesso è un
fraintendimento comune proprio per questo nome che in qualche modo è
infausto, infelice, anche se in mancanza di alternative migliori ce lo
teniamo, ma avere la CFS non significa essere tanto stanchi. Significa
essere malati.
I sintomi sono davvero tantissimi. Da problemi
di tipo neurologico, a problemi di tipo immunitario, di tipo gastrico,
endocrino… come hanno indicato i professori precedentemente, l’elenco
dei sintomi è veramente molto ampio. Ci sono i soliti problemi di
dolori, dolori articolari e muscolari, mal di testa, mal di gola e
spesso la gente vede nel dolore l’elemento peggiore, in un certo senso,
quando spesso e volentieri per i pazienti sono magari i disturbi di
tipo cognitivo ad essere quelli più invalidanti, quelli più difficili
da gestire, magari problemi di memoria, di concentrazione, di
recuperare le parole, difficoltà a multi-tasking, difficoltà a
focalizzarsi per forza su un determinato specifico argomento alla
volta, disorientamento… Son i tanti aspetti che noi pazienti, in modo
non scientifico, chiamiamo “brain fog”, nebbia mentale, come se ci
fosse una grossa cotre di nebbia davanti agli occhi. Noi ne abbiamo
parlato anche, se inserire questo termine nel documento e non lo
abbiamo fatto perché non è un termine di tipo scientifico, però è un
termine che descrive bene il tipo di problema con cui si trovano
quotidianamente a vivere i pazienti. Ed è qualcosa di estremamente
invalidante, qualcosa che anche mina un po' le basi della persona,
anche da un punto di vista di identità, proprio di relazione con il
mondo, in qualche maniera, perché questa mancanza di capacità cognitiva
fa sentire molto vulnerabili.
Comunque diciamo che la CFS è
una bomba atomica anche per altri aspetti. Intanto perché provoca tanta
solitudine e isolamento. Qualcuno ci ha definito una comunità di
eremiti. Io penso che sia una bella definizione nel senso che siamo una
comunità, siamo tanti pazienti, ma ciascuno è più delle volte chiuso
nelle proprie case perché abbiamo difficoltà a incontrarci, c'è
difficoltà per i pazienti proprio per la difficoltà di reggere il
contatto fisico con le altre persone, perché il contatto sociale
comporta un dispendio di energie molto importante e dà tantissimi
stimoli. Si va a sottrazione di stimoli, con la CFS, per evitare un
aggravamento dei sintomi, quindi l'isolamento sicuramente è una cosa
molto pesante E spesso si creano distruzioni dei legami personali,
familiari, amicali, perché la gente ha appunto difficoltà a
relazionarsi avendo questo tipo di problema e molto spesso le persone
perdono il lavoro o non riesco a continuare gli studi. In qualche
maniera c'è una distruzione di quello che sono i sogni e le aspettative
delle persone. Da questo punto di vista io penso che sia la vita che
distrugge i sogni e le aspettative delle persone, non serve la CFS, il
problema che la CFS aumenta è il fatto che le persone non riescono a
costruire dei sogni alternativi, le persone stanno così male che
qualunque cosa facciano le fa peggiorare, si trovano in una situazione
tale da pensare o vedere la propria vita come quella di dover fare la
vita di un soprammobile, fondamentalmente, e chiaramente non è una cosa
facile con cui convivere. Io ho sentito anche i pazienti definiti come
“morti viventi” o come “bambole di pezza” e penso che siano delle
diciture - chiaramente a seconda anche della gravità del paziente
naturalmente - che sono anche abbastanza efficaci e vere rispetto al
tipo di vita che spesso e volentieri i pazienti si trovano costretti a
vivere.
Io qui e rispetto agli altri relatori ho una
caratteristica, ovvero soffro di Sindrome da Fatica Cronica da ben 23
anni e suppongo che non si veda, in linea di massima. Se uno mi vede
qui oggi o mi incontra per la strada, non pensa “quella sta tre quarti
della vita a letto”, perché appunto la CFS è una malattia comunque
invisibile: i pazienti sono pazienti invisibili perché spesso sono
confinati in casa, in camera, a letto, ma anche sono invisibili perché
non si vede sul volto delle persone l'invalidità. A questo proposito io
vi racconto brevemente anche la mia storia personale; tra l'altro
abbiamo fatto anche con Roberta e con un’altra persona presente qui,
una raccolta di testimonianze di pazienti che si chiama “Stanchi”, per
la SBC Edizioni: sono oltre 20 pazienti che raccontano la propria
storia. Comunque io vi racconto qui brevemente la mia.
Io mi
sono ammalata 23 anni fa. Adesso ho 43 anni, allora ne avevo 20 ed ero
all'inizio del secondo anno di Università di Giurisprudenza a Trento.
All'inizio ho avuto degli episodi sporadici, magari dovevo portare su
la sporta della spesa - io abito al primo piano - e per andare al primo
piano, mi ci volevano magari due o tre ore per recuperare la fatica. Mi
è sembrato molto strano all'inizio, non capivo bene che cosa mi stesse
succedendo. Nel giro di sei mesi - un anno mi sono trovata allettata 24
ore su 24 e avevo in certi casi bisogno di essere accompagnata in
bagno, di essere imboccata per mangiare, perché non riuscivo nemmeno
letteralmente a stare seduta; in realtà soffrivo anche di un sintomo
che è molto comune con i pazienti di CFS che è quello dell'intolleranza
ortostatica per cui mi girava continuamente la testa, mi sentivo sempre
svenire, per cui anche mia mamma doveva tirarmi su la testa oppure non
riuscivo nemmeno a girare la testa di lato per mangiare. O anche la
logistica di stare sul water, quando gira continuamente tutto, è
veramente problematica. In più chiaramente avevo febbre, per quanto
normalmente con la CFS sia una febbricola, quindi 37.3 - 37.4,
occasionalmente anche 38 o 39 se si faceva qualche piccolo sforzo; e
poi dolori. I dolori secondo me, se uno non ha anche problemi
fibromialgici, con la CFS sono un po' come quando si è fatta tanta
palestra e si è poco allenati e quindi sia quel forte dolore muscolare
e disagio muscolare, ma contemporaneamente anche quelle fitte che si
hanno quando si ha una febbre molto alta, anche poi per il fatto di
avere la caratteristica di essere migranti, un momento qui, un momento
qua, momento qua; poi mal di gola, mal di testa, difficoltà a dormire,
sia perché non si riesce ad addormentarsi perché si è troppo
affaticati, sia perché non si dorme qualitativamente bene.
È
evidente, penso che non sia difficile da capire, che è pesante vivere
continuamente con questi sintomi contemporaneamente, tra l’altro anche
con una fortissima confusione mentale… Io ricordo che quando mi sono
ammalata avevo da poco cominciato a scrivere come critica televisiva
per un giornale locale e dovevo scrivere un articolo alla settimana e
vedere un programma alla settimana. Io per riuscire a farlo dovevo
aspettarmelo in tanti pezzetti. Magari vedere 5 minuti del programma e
interrompermi altri 20 minuti, vedere altri 10 minuti e interrompermi
altri 10 minuti, vederne 2 minuti e interrompermi un quarto d’ora, per
riuscire a vederlo tutto e scrivere quell’articolo alla settimana, che
spesso e volentieri dovevo dettare perché non riuscivo a stare seduta a
scriverlo. Chiaramente si può immaginare, con tutte queste cose
contemporaneamente, è stata una tortura, una vera agonia, e non uso
questi termini con tanta leggerezza. Diciamo che poi comunque i sintomi
pian piano sono anche migliorati, non è che non ho fatto cose, sono
riuscita a laurearmi poi di fatto ma, comunque sia, io calcolo che per
i primi 12 anni non ho mai, nemmeno per un minuto, avuto la sensazione
del sollievo del riposo e veramente ho passato almeno i primi 12 anni
sicuramente 24 ore su 24 a letto, con alcuni periodi in cui di fatto
sono uscita di casa sei-sette volte in tutto, e devo dire che
praticamente fino a un paio di anni fa, comunque, uscire a mangiare una
pizza con i miei amici, a parte riposare tutto il giorno e il giorno
prima, che do per scontato, mi comportava due giorni di letto pieni per
recuperare, e oggi, che sono passati 23 anni, e quando mi chiedono come
stai dico abbastanza bene, c'è comunque da dire che la mattina sono
comunque sempre a letto e sono rare le mattine in cui mi si vede in
piedi, e giusto adesso comincio riuscire a fare le cose due giorni di
fila o tre giorni di fila, ma tre non significa necessariamente 4, per
cui ho comunque bisogno dei miei giorni-cuscino per recuperare, ho
bisogno di tanti, tanti tempi di riposo e di recupero.
Naturalmente
sono dipendente dai miei, non solo da un punto di vista economico ma
anche per spostarmi perché non sono autonoma negli spostamenti e
chiaramente anche per le cose di casa. Se ci sono da fare i piatti o il
bucato, non è che magari non le faccia occasionalmente, ma su base
costante è una cosa problematica, e quindi diciamo che sebbene
all'interno dei miei limiti riesca a fare anche parecchie cose ormai, è
anche vero però che, se sgarro da questi limiti, crollo e magari per
una cretinata mi ritrovo a letto una settimana. Questo è purtroppo una
cosa assai comune. Infatti se vi ho raccontato rapidamente la mia
storia non è perché sia una storia speciale, ma proprio perché è una
storia tragicamente comune.
E ancora, io sono stata fortunata,
perché grazie a un fortunato incontro con il dottor Tirelli ho avuto
una diagnosi molto precoce. Nel giro di un anno e mezzo da quando mi
sono molto ammalata io ho avuto una diagnosi, e poi sono sempre andata
migliorando, cosa che non è necessariamente per tutti, ho sempre avuto
il sostegno della mia famiglia e dei miei amici, e questo non è per
tante persone. Infatti è questa anche una delle tragedie della CFS: che
spesso e volentieri non solo i pazienti vengono derisi o sminuito o
vengono accusati di malinger, come si direbbe in inglese, cioè di
fingere i propri sintomi oppure di fingere che siano più gravi di
quello che sono, ma che spesso e volentieri anche coloro che dovrebbero
venire incontro alle esigenze dei pazienti, ovvero i medici, non sono
in grado di riconoscere la malattia. Per questo penso che questo
documento possa essere importante, in qualche maniera.
Ho
iniziato con una citazione e chiudo rapidamente con una, fra
virgolette, altra citazione, citando in qualche maniera Susan Sontag
che riteneva che la malattia fosse il lato notturno della vita. Susan
Sontag aveva riflettuto molto sulla malattia come metafora e sulle
metafore che utilizziamo nella malattia e lei diceva che normalmente si
utilizzano molto, quando si parla di malati, le metafore di guerra - il
nemico da combattere, la guerra stessa, il combattimento - e lei
riteneva... penso che sia una metafora abbastanza comune, di default, e
anche vera in un certo senso, nel senso che uno si sente attaccato e si
sente, fra virgolette, “in guerra”... contemporaneamente lei la
riteneva una metafora poco utile per i pazienti spesso e volentieri,
perché diceva che intanto non è facile vivere sempre in guerra e poi
perché le guerre si possono perdere. E lei quindi proponeva
un'alternativa: proponeva di pensare alla malattia come una forma di
più onerosa cittadinanza. E quindi in questo senso nella nostra guerra,
che speriamo di risolvere con magari delle conoscenze maggiori sulla
CFS, lì avremo una vincita della guerra. Per il momento, con questo
documento, spero e penso che possa essere un primo passo per avere un
cittadinanza meno onerosa come pazienti e spero che possa essere anche
un primo passo per un riconoscimento ufficiale da parte dello Stato,
perché penso che ne abbiamo veramente bisogno e perché non vogliamo
essere né morti viventi né bambole di pezza. Grazie.
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